Parte I| Identità Negate

Noi siamo fatti tutti di pezzetti, e di una tessitura così informe e bizzarra che ogni pezzo, ogni momento va per conto suo. E c’è altrettanta differenza fra noi e noi stessi che fra noi e gli altri.

Michel De Montaigne, “Essais”, vol. II, 1

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Camminare lungo il Viale della Primavera (UnLostLine 14) è come intraprendere un viaggio in una Roma ben lontana da quella dei luoghi comuni. Ci si ritrova a percorrere una linea invisibile che separa tra loro realtà apparentemente irraggiungibili.
Questa è una strada di confine, seppur ideale, tra due quartieri: quello storico del Prenestino-Labicano; e quello a urbanizzazione più recente del Prenestino-Centocelle. È il punto d’incontro tra mondi differenti.

Durante il nostro sopralluogo, questa atmosfera di confine è stata percepita fin da subito.  Il viale, seppur ricco di funzioni, versa in uno strato di degrado, mentre gli spazi pubblici non rispecchiano le nuove realtà sociali del quartiere, che, non identificandosi nel luogo in cui si sono insediate, rimangono chiuse in scatole ideali, dove non è possibile il confronto. È stato interessante notare, inoltre, come i passanti raramente si esprimessero in italiano, ma piuttosto in altre lingue, a conferma della forte realtà multietnica del luogo.

Suggestivo è il reportage autobiografico che Valerio Callieri, vincitore del premio Calvino, dedica al quartiere di Centocelle.

[…] più vago per il quartiere, percorrendo tutta via dei Castani fino a piazza dei Gerani, più capisco. Dai dialoghi strillati – che secondo me resisteranno a qualsiasi slittamento antropologico, con buona pace di Pasolini – emergono considerazioni anziane che con rimpianto razzista esaltano il quartiere de ‘na volta quando non c’erano i cinesi gli arabi i bengalesi, riflessioni laureate che cartografano la gentrificazione hipster e benedizioni coatte dell’apertura della nuova metropolitana (“quanto c’ha fatto aspettà, altro che er messìa”). Capisco che la ferita della memoria non riguarda questi aspetti generali.

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Di particolare interesse è l’esperimento #mapparoma, che, attraverso l’analisi di dati sulla popolazione, crea delle mappe open source da cui emergono le differenze esistenti nella città di Roma, mettendole a sistema con delle crisi.

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È proprio in questi luoghi di confine che l’essere diverso, emarginato assume particolare risonanza.

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La diversità mette in discussione la propria identità facendo scaturire nuovi processi. Diverso è nuovo, diverso a volte fa paura, sfociando a volte in episodi che fanno regredire la nostra società.

“All That We Share” è uno spot del canale danese TV2, pubblicato il 27 Gennaio 2017, in occasione del Giorno della Memoria. Il suo significato, però, va oltre le ricorrenze, per sottolineare che le differenze sono determinate da un punto di vista.

Un teatro, diviso in rettangoli, dentro i quali sono chiusi dei gruppi di persone, associati secondo il modo di vedere comune. Le differenze, all’apparenza insormontabili, sono spazzate via da altre categorie, magari meno “impegnative”. “Chi di voi era il pagliaccio della classe?”, chiede l’uomo al centro del teatro. E chi “è un genitore adottivo?”. I gruppi si mischiano e le barriere cadono, i rettangoli perdono forma, i confini si fanno più sottili: è così che il “noi” contro “loro” svanisce.



Giocare per superare le diversità

La volontà è quella di superare la crisi attraverso un nuovo strumento, il gioco. E’ attraverso il gioco che si hanno i maggiori e migliori momenti di condivisione, e sempre attraverso il gioco si vuole creare uno spazio di confronto fra culture. Non vi è differenza tra chi gioca, non vi sono culture differenti quando ci si diverte.

E’ principalmente pensando ai bambini che si progetta questo spazio, a chi, più di tutti, non nota la diversità ma fa tesoro delle esperienze e delle persone che incontra, ma questo spazio viene esteso anche agli adulti, a chi ha delle barriere mentali che impediscono la condivisione e l’integrazione, cercando di creare, attraverso il pretesto del gioco, uno spazio che riesca ad infrangerle.

E’ necessario che le identità restino forti, che non vengano soffocate, che la diversità sia un valore aggiunto, ma è necessario informare e conoscere le culture che vivono e convivono nello stesso spazio.
Dalla necessità di trovare un linguaggio universale, che possa essere compreso e condiviso da tutti, e che possa al tempo stesso lanciare un messaggio di “positiva” diversità, si fa strada l’idea del colore.

Sono le sfumature che rendono speciali i luoghi. Uno stesso spazio, non è dominato dalla presenza di un unico colore, ma è l’accostamento con un altro colore il valore aggiunto. E’ la diversità, la molteplicità, la bellezza di uno spazio, ed è il colore che, indistintamente dalle culture, genera emozione e forti sensazioni.

Attraverso il colore si genera un nuovo spazio, che nasce dai suoni della città, dai respiri del quartiere, che si fanno infrastruttura, viva, visibile, presente, “diversa” e al tempo stesso unita, traccia del quartiere stesso e di chi lo abita.

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